Moduli fotovoltaici contraffatti. I truffati non perdono gli incentivi

Pubblicato su Energiamedia.it il 31 maggio 2017

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9967/2017, hanno confermato la posizione del Consiglio di Stato che dava ragione ai soggetti responsabili di impianti fotovoltaici, vittime della nota truffa delle certificazioni false che attestavano la provenienza europea dei pannelli.

Essi possono ora sperare di conservare l’incentivo base anche a fronte della produzione delle certificazioni contraffatte per accedere al premio “made in UE”. Il Gestore dei Servizi Energetici GSE SpA, infatti, dopo qualche anno dal riconoscimento ed erogazione degli incentivi e dei premi descritti, in un primo tempo (nel 2014) aveva cominciato a comunicare la sospensione dell’erogazione degli incentivi (e dei premi) agli impianti fotovoltaici che accedevano al IV e V conto energia (DM 5 maggio 2011 e DM 5 luglio 2012), a seguito di verifiche dalle quali sarebbero emersi dubbi sul “made in EU” dei componenti degli impianti.

Questo, nonostante i produttori avessero effettivamente fornito al GSE l’“Attestato di controllo del processo produttivo in fabbrica” (Factory Inspection Attestation/Declaration), rilasciato da Organismi di certificazione aventi i requisiti indicati nella Guida CEI 82-85, come espressamente previsto dalle Regole applicative per il riconoscimento delle tariffe incentivanti previste dal DM 5 maggio 2011 e dal DM 5 luglio 2012, pubblicate dal GSE rispettivamente a giugno 2012 e ad agosto 2012. Il GSE cominciò quindi a dichiarare la decadenza dagli incentivi e dai premi, disponendo, nel contempo, il recupero integrale delle somme già erogate. Quando i soggetti responsabili presentarono i primi ricorsi al Giudice Amministrativo ricevettero una brutta delusione: basti pensare alla sentenza n. 11706/2015, nella quale il TAR Lazio – Roma, III ter, aveva ritenuto, anzitutto, che la decadenza dall’incentivo non poteva che riguardare l’intero importo dell’incentivo e non solo il premio “made in UE”.

Il TAR inoltre non ha attribuito alcun valore all’elemento psicologico (la mancanza di dolo o colpa dei produttori di energia, nella produzione di certificazioni poi verificatesi false) ritenendo che il mancato riconoscimento dell’incentivo, così come la decadenza da esso e la restituzione delle somme eventualmente già erogate, non avrebbe avuto natura sanzione, ma ripristinatoria dei rapporti. Quando però la questione giunse al Consiglio di Stato – chiamato a decidere sull’impugnazione della sentenza n. 11706/2015 di cui sopra – il giudice di appello aderì alle ragioni del produttore, riformando la sentenza di primo grado e annullando il provvedimento di decadenza. Il Consiglio di Stato, infatti, ha rilevato che le norme incentivanti, ai fini dell’adozione dei provvedimenti di decadenza degli incentivi, richiedono che la violazione accertata sia “rilevante” ai fini del riconoscimento degli incentivi; le uniche le dichiarazioni false o le certificazioni contraffatte che avrebbero potuto legittimare la decadenza dagli incentivi – e il conseguente recupero delle somme già erogate – sono quelle rese ai fini dell’ottenimento degli incentivi e non, invece, quelle rese ai soli fini dell’ottenimento del premio. Questo, in considerazione del fatto che l’assenza di tali dichiarazioni non avrebbe inciso negativamente sull’esito del procedimento di riconoscimento dell’incentivo base. Pertanto, poiché le violazioni riscontrate (produzione di certificazioni false relative alla provenienza europea dei pannelli) riguardavano il riconoscimento del premio aggiuntivo “made in UE” e non dell’incentivo base, esse non avrebbero legittimamente potuto giustificare il provvedimento di decadenza dalla tariffa base. Dirimente, ad avviso di chi scrive, è stato il fatto che il produttore si fosse munito di una perizia tecnica attestante la conformità dei moduli ai parametri tecnici previsti dalla disciplina incentivante per l’accesso agli incentivi e, quindi, la non rilevanza delle violazioni commesse. Dato che alla pronuncia del Consiglio di Stato il TAR Lazio dovrebbe conformarsi, il GSE temendo il fatto che molti soggetti responsabili, forti della pronuncia del Consiglio di Stato, avevano cominciato a chiedere un riesame dei provvedimenti di decadenza ha recentemente promosso un ricorso in Corte di Cassazione per difetto di giurisdizione. Si trattava di una estrema difesa volta a mettere in dubbio i limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo e l’eccesso di potere giurisdizionale.

Ecco i rilievi posti dal GSE: 1) L’indagine sulla rilevanza della violazione non sarebbe spettata al Giudice, poiché la presentazione di dichiarazioni false è di per sé rilevante, ai sensi della disciplina regolamentare sull’attività di controllo del GSE (DM 31 gennaio 2014) che costituisce un limite all’attività interpretativa del Giudice. 2) Il Giudice, nel valutare la perizia tecnica di parte (prodotta per la prima volta in giudizio) e considerarla sintomo della non rilevanza della violazione, si sarebbe sostituito al GSE nella valutazione tecnica (a questo riservata) dei requisiti per l’accesso agli incentivi.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha rigettato le tesi del GSE. Vediamo come, sempre per punti: 1) L’eccesso di potere giurisdizionale si verifica solo se il Giudice applica non già la norma esistente ma una norma di propria creazione, mentre non si configura quando il Giudice si limiti all’attività interpretativa della norma esistente. La Cassazione ha confermato l’operato del Consiglio di Stato, che a detta della Corte ha ricavato dalle norme incentivanti (interpretandole) il principio secondo cui la decadenza del diritto alla percezione degli incentivi non può legittimamente conseguire all’accertamento di una violazione non rilevante per l’accesso agli incentivi medesimi. 2) L’eccesso di potere giurisdizionale, sotto il profilo dello sconfinamento nell’ambito del merito amministrativo, si ha quando l’indagine del Giudice sia preordinata a una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza del provvedimento amministrativo, ovvero nei casi in cui la decisione esprime una volontà che si sostituisce a quella propria della (e riservata alla) amministrazione e, al contrario, ha accertato che il Consiglio di Stato ha esercitato correttamente il proprio sindacato di legittimità, verificando la conformità del provvedimento di decadenza alla disciplina normativa di riferimento.

A seguito di questa pronuncia il GSE muterà il proprio atteggiamento, come visto in merito ad altre questioni giuridiche, oppure perseguirà la medesima linea esponendosi alla posizione presa dal Consiglio di Stato e costringendo il TAR Lazio a decidere se seguire o meno la scelta del suo Giudice di appello? Nelle prossime settimane le prime risposte alla questione, che naturalmente arriveranno già dal comportamento concludente del GSE ancor prima che dalle pronunce giurisdizionali. Si segnala, inoltre, che il Governo ha appena presentato un emendamento al DDL cd. “Manovra”, che dovrebbe essere volto a trovare una soluzione non troppo penalizzante per gli impianti in relazione ai quali a seguito di indagine o verifica risultano installati moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento. A tali impianti la tariffa incentivante verrebbe decurtata del 20% (del 10% nel caso in cui il soggetto responsabile si sia autodenunciato). Si spera che alcuni elementi della soluzione prospettata dal Governo che destano perplessità siano superati nella versione definitiva del provvedimento. Fra questi la condizione richiesta per l’applicabilità di questa regola, vale a dire il fatto che il soggetto responsabile debba provare di aver intrapreso “le azioni consentite dalla legge” nei confronti dei soggetti responsabili della loro non conformità. Inoltre, la regola appena descritta sarebbe applicabile solo agli impianti di potenza superiore ai 3 kW, mentre nulla si dice di quelli di potenza inferiore.

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